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sabato 13 agosto 2011

Taglio dei trasferimenti agli enti locali. Linee guida per un welfare sostenibile.

Questo studio della Banca d' Italia ci mostra la storia del colossale debito pubblico italiano, che diventa incontrollato già negli anni Settanta del secolo scorso.
Gli imminenti nuovi tagli dei trasferimenti agli enti locali, imposti dalla grave situazione economica e dal citato stock del nostro debito pubblico, costringeranno molte amministrazioni locali a rinnovare metodi e strutture del welfare. Secondo quali linee guida?
Una preziosa indicazione si può trarre da un recente articolo di Antonio Martino che scrive:

"Le amministrazioni pubbliche - governo centrale, amministrazioni locali, enti previdenziali, autorità autonome e quant'altro - sono in realtà un sistema di trasferimenti: si finanziano prelevando quattrini dalle tasche di alcuni italiani per trasferirli in quelle di altri italiani. Le dimensioni di questi trasferimenti sono aumentate enormemente nel corso del tempo: se posso ripetermi, nel 1900 rappresentavano il 10% del prodotto interno lordo, negli anni Cinquanta a circa il 30%, oggi superano il 51%. Cosa giustifica questa spaventosa crescita? Certamente non la lotta alla povertà: eravamo più poveri nel 1900 che non negli anni Cinquanta e più poveri nei Cinquanta che non adesso. Del resto, chi crede che le spese delle amministrazioni pubbliche abbiano davvero lo scopo di alleviare il disagio dei nostri concittadini meno fortunati? Se il 51% del reddito nazionale andasse al 20% più povero della popolazione, lo renderebbe immediatamente agiato. Le cose sono assai meno semplici, bisogna considerare altri elementi.

Primo: quanto la collettività riceve ammonta a molto meno di quanto la collettività deve versare all'apparato di trasferimenti pubblico, per via dei costi di trasferimento (burocrazia, politica, corruzione, eccetera). Secondo: chi paga non necessariamente appartiene alle fasce di reddito più alte, chi riceve non necessariamente a quelle più basse. Il finanziamento dell'università, della sanità, e degli enti locali molto spesso proviene dalle tasche di contribuenti a reddito medio-basso o basso, e va in quelle di persone non indigenti, e la redistribuzione diventa regressiva".

"L'indennità parlamentare mi colloca nell'uno per cento più ricco dei contribuenti (ineffabile efficienza del nostro sistema tributario!) eppure ricevo "gratis" i servizi e le medicine fornite dal sistema sanitario nazionale: tassiamo il 99% meno abbiente per dare all'uno per cento più ricco!"

Martino, con la sua abituale coraggiosa lucidità, mette in rilievo uno dei principali fattori di insostenibilità della spesa pubblica italiana: tendenzialmente si vuole dare tutto a tutti. La protezione pubblica, spesso inefficiente, copre anche chi non ne ha davvero bisogno e può da solo meglio provvedere alle proprie necessità, conservando parte del reddito che oggi trasferisce alla finanza pubblica.

Occorre dunque che la mano pubblica tuteli, in modo efficiente, chi non riesce a far da sè. Nulla di meno, nulla di più. Si tratta di collegare le prestazioni al reddito, riducendo l' ampiezza degli interventi della pubblica amministrazione e quindi la sua dimensione e l' entità della spesa pubblica.
L' ostacolo principale che trova questa auspicata rivoluzione del welfare italiano è rappresentato dalla tradizionale incapacità di far emergere i redditi reali, a cui si accompagna un' imponente evasione fiscale.
Gli enti locali sono i più vicini al cittadino. Sono perciò in grado di contribuire in modo decisivo anche all' accertamento della sua situazione reddituale. Siano i primi a sperimentare un nuovo modo di costruire assistenza e sanità pubblica, imperniato sul collegamento tra prestazione e reddito.

venerdì 1 luglio 2011

Finanza pubblica: lo scontro sui tagli.

In questo recente articolo su La Stampa  il professor Luca Ricolfi presenta un quadro realistico della finanza pubblica italiana, approfondendo in particolare il tema dei cosiddetti tagli alla spesa.

Scrive Ricolfi, "a proposito di tagli lineari e non":


"...le cose sono più complicate, molto più complicate, di come appaiono. E' ingenuo, per non dire demagogico, suggerire l'idea che oggi - giugno 2011 - la politica abbia di fronte a sé due vere alternative: tagli lineari e tagli selettivi.
L'opzione dei tagli non lineari, o selettivi, pavlovianamente invocata dall'opposizione e dai sindacati appena Tremonti fa «bau», semplicemente non esiste"

" un conto è sapere quanto si dovrebbe tagliare globalmente, un conto è sapere esattamente dove, in che modo, con che tempi. Uno studio di questo tipo richiede un'équipe di specialisti (di cui alcuni provenienti dal mondo della sanità) e almeno due anni di intenso lavoro.
Invece la politica ha sempre fretta, e 2-3 anni di lavoro le sembrano un'eternità. Eppure un paio di anni è il tempo minimo per preparare un dossier operativo serio, capace di individuare chirurgicamente gli sprechi e le soluzioni.
Vale per la sanità, così come per la scuola, l'università, la giustizia, le carceri, i trasporti, la burocrazia.
La sinistra spesso invoca con rimpianto la spending review, ossia il lavoro di revisione della spesa pubblica iniziato dal compianto ministro Padoa-Schioppa con la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (Ctfp, o Commissione Muraro), ma troppo spesso si dimentica che persino quel meritorio lavoro era appena agli inizi, e non aveva ancora prodotto le centinaia di dossier operativi, di manuali di «istruzioni per l'uso», che sarebbero stati necessari se davvero si fosse voluto varare una politica di tagli selettivi.
Ora siamo più indietro di allora (perché questo governo ha soppresso la Commissione Muraro), ma siamo indietro persino se immaginiamo a un futuro governo, che si insedi fra un anno e mezzo al posto di quello attuale.
Se la sinistra intendesse davvero, una volta vinte le elezioni, procedere lei a tagliare gli sprechi in modo selettivo, avrebbe già creato decine e decine di gruppi di lavoro per individuare come, dove e quanto tagliare.
Ma immaginiamo invece che, per miracolo, i dossier siano già sul tavolo del governo. Che il governo sappia con precisione dove colpire. C'è la lista degli enti inutili da sopprimere e quella degli enti da rafforzare. 
C'è la lista dei ministeri da far dimagrire, e quella dei ministeri da rifinanziare. C'è la lista degli atenei da chiudere e quella degli atenei da potenziare. C'è la lista dei tribunali da accorpare.
C'è la lista degli ospedali inefficienti e pericolosi da chiudere. C'è la lista delle agevolazioni ed esenzioni da sopprimere. Ci sono stime accurate dei tassi di spreco di ogni regione, provincia, Comune, e un piano decennale che prevede progressive riduzioni dei trasferimenti per gli enti che dissipano denaro pubblico, ma anche progressivi aumenti delle dotazioni per gli enti virtuosi.
Ebbene, provate a immaginarvelo un governo serio e determinato, crosettianamente pronto a iniziare una politica di tagli selettivi (per inciso: la manovra che ci chiede l'Europa è di 40 miliardi in 3 anni, gli sprechi della pubblica amministrazione superano gli 80 miliardi) Che cosa credete che succederebbe?
Ogni categoria, ente, territorio colpito mobiliterebbe sindacati, associazioni di categoria, tribunali, televisioni, quotidiani per salvare se stesso, naturalmente invocando l'assoluta indispensabilità delle funzioni che esso svolge, naturalmente nell'esclusivo interesse della comunità.
Un coro generale si leverebbe contro il governo, l'indignazione popolare monterebbe, il lavoro dei tecnici sarebbe duramente contestato da altri tecnici, si sentirebbe di nuovo parlare di «macelleria sociale», «attacco al welfare» e alle conquiste dei lavoratori, eccetera eccetera.
E allora, se le cose stanno così, come possiamo stupirci che Tremonti pensi a semplici, modesti, tagli lineari, con l'aggiunta di una spruzzatina di demagogia anti-casta, tipo limatura dei compensi ai politici?
Tremonti, probabilmente, pensa a tagli lineari perché quella è la sua forma mentis. Ma il guaio è che, giunti a questo punto, con un Paese cui è stato raccontato che nella crisi l'Italia tutto sommato se l'è cavata bene, nessun governo sarebbe in grado di imporre le misure che servirebbero, anche se nel frattempo avesse elaborato un piano, fatto di dossier precisi, seri, dettagliati".


Dunque, scrive Ricolfi, "nessun governo sarebbe in grado di imporre le misure che servirebbero, anche se nel frattempo avesse elaborato un piano, fatto di dossier precisi, seri, dettagliati".
Naturalmente questa difficoltà di affrontare i problemi alla radice non è, come sembra sostenere il professor Ricolfi con un cedimento all' antiberlusconismo più fazioso, imputabile all' ottimismo del presidente del consiglio.                                                                                                                                                                                 
Bisogna invece sottolineare che corporazioni, privilegi, rendite di posizione, insufficiente concorrenza fanno ormai parte dell' assetto fondamentale della società italiana, così consolidato e tradizionale da risultare impermeabile e refrattario a ogni tentativo di riforma.
Si deve inoltre considerare che la scuola pubblica, venendo meno ad uno dei suoi principali doveri, non ha di solito formato cittadini consapevoli della struttura essenziale dello stato contemporaneo e della complessità dei problemi che possono affliggerlo.
Proprio sulla cultura diffusa di un paese debilitato e fuorviato da lunghi decenni di battaglie politico-ideologiche senza esclusione di colpi si deve tentare di intervenire, se si vuole uscire dallo stallo.
E' necessario far comprendere la complessità delle questioni e la necessità di decisioni rivolte al futuro ma anche ridare credibilità ad una rappresentanza politica ormai percepita come casta di privilegiati lontana dai problemi della gente.

domenica 12 giugno 2011

Perchè in Italia è difficile fare riforme importanti?

Il professor Ernesto Galli Della Loggia torna ad alti livelli con questo editoriale sul Corriere della Sera:


Scrive Della Loggia:

"Che cos'è che in Italia impedisce di «fare le riforme»? La risposta è semplicissima: la loro impopolarità. Ci troviamo ad essere strangolati da un paradosso micidiale: proprio perché sono così vitalmente necessarie, le «riforme» suscitano un'opposizione fortissima in grado di bloccarle. Enormemente più forte che in altri Paesi, questo è il punto. Ciò accade perché altrove, in genere, una riforma vuol dire un provvedimento impopolare sì, ma che non cambia le regole del gioco, non cambia il principio sul quale la società è costruita. Da noi invece no. Le riforme di cui noi abbiamo più bisogno, infatti, sono quelle che dovrebbero rompere proprio il meccanismo con cui funziona la nostra società, mutarne alla radice lo spirito e la mentalità. Quando in Italia si dice «riforme», bisogna esserne consapevoli, si dice in realtà «rivoluzione». E la più difficile tra le rivoluzioni: quella culturale".


"Qualunque sia il provvedimento a cui si pensi per modernizzare il Paese, per rimetterlo in carreggiata, ci si accorge subito, infatti, che esso va immancabilmente a colpire uno dei tre pilastri sui quali si regge gran parte della società italiana: il privilegio, il corporativismo, la demagogia". 
"In Italia qualunque individuo così come qualunque istituzione, qualunque impresa capitalistica non sopporta né il merito, né la concorrenza, né controlli indipendenti. Qualunque categoria, qualunque organismo non sogna altro che monopoli, numeri chiusi, carriere assicurate, condoni, esenzioni, ope legis, proroghe, trattamenti speciali, pensioni ad hoc, comunque condizioni di favore. E quasi sempre ottiene quanto desidera. Ricorrendo, come ho detto, all'arma vincente della demagogia. Specie a partire dagli anni Settanta, infatti, corporativismo e privilegi hanno progressivamente soffocato la società italiana costruendo (o avvalendosi di già pronte) costruzioni ideologiche menzognere, le quali avevano regolarmente al proprio centro i «diritti», la «democrazia», la «solidarietà»: parole d'ordine, discorsi, che agitando ogni volta la bandiera del bene e del giusto in realtà sono serviti unicamente a promuovere il più spietato particolarismo o a saccheggiare le casse pubbliche. Spessissimo a tutte e due le cose insieme".
"È contro questa autentica muraglia socio-culturale - la quale nella sua essenza non è né di destra né di sinistra, potendo essere indifferentemente entrambe le cose - che da decenni s'infrange, o meglio si spegne appena levatosi, qualsiasi vento riformatore italiano. L'imponenza di quella muraglia, infatti, ha l'effetto di porre in una condizione di eterna minoranza la dimensione del bene comune, dell'interesse collettivo, che in tal modo non riesce ad avere alcun peso politico determinante. È per questo che le riforme non si fanno, e in particolare non si possono fare proprio quelle che ci servirebbero di più".
"Il dispositivo corporativistico-demagogico-antimeritocratico è divenuto lo strumento grazie al quale da due decenni il cuore maggioritario della società italiana reale neutralizza la sfera della politica, imponendo in cambio del proprio consenso la sua impotenza. Lo strumento grazie al quale essa neutralizza di fatto tanto la destra che la sinistra all'insegna della loro comune, certificata, impotenza; grazie al quale, infine, ne cancella i profili, ne vanifica identità e programmi. L'iperpoliticismo resta sì, dunque, come un carattere tipico della sfera pubblica italiana. Ma esso non è più il predominio del comando politico sulla società, com'è stato fino alla fine della prima Repubblica. Ora è piuttosto la penetrazione/subordinazione capillare e diffusa, l'uso continuo della politica da parte delle infinite articolazioni corporativo-antimeritocratiche della società. La quale realizza per questa via una sua antica vocazione: servirsi del potere, disprezzandolo".
Ernesto Galli Della Loggia


Si tratta di considerazioni amare ma lucidissime, anche se non interamente condivisibili. Resta a nostro parere esatto il rilievo fondamentale che emerge da esse: in Italia manca una cultura liberale diffusa e questo difetto blocca lo sviluppo delle tante potenzialità che la nostra società presenta. Le ragioni principali di ciò vanno trovate nella nostra storia recente. Nella egemonia culturale di una sinistra illiberale che, dopo la chiusura imposta dal fascismo, ha ostacolato con efficacia l' accesso dei nostri giovani al grande pensiero liberale classico e contemporaneo.

domenica 5 giugno 2011

Il Popolo della Libertà si rinnova per tornare a vincere. Le primarie.

Nel PdL si riflette sulla recente sconfitta elettorale e si lavora al rinnovamento del partito  per tornare alla vittoria. Il nuovo segretario Alfano, il ministro Frattini e il senatore Quagliariello propongono il ricorso al  sistema delle primarie, tradizionale nella democrazia liberale americana.
Scrive Quagliariello:


"Sarebbe un bel segnale se fosse proprio il PdL a promuovere una legge sulle primarie, prevedendo che esse siano aperte non solo ai tesserati ma anche alla partecipazione di cittadini che si siano preventivamente registrati in appositi albi, entro termini sufficienti a scongiurare il pericolo di inquinamenti o di risultati falsati".

Queste le riflessioni del ministro Frattini, tratte dal suo blog Diario Italiano:



CON LE NOMINE DALL' ALTO FINIAMO IN BASSO


RIFLESSIONE SULLE PRIMARIE.

La procedura della cooptazione va superata. Serve un bagno popolare che riavvicini il partito ai suoi iscritti e agli elettori 


Libero Quotidiano, 4 giugno 2011
di FRANCO FRATTINI 

PRIMARIE PERCHÉ? Perché nel momento in cui Berlusconi pensa al futuro della famiglia italiana del Ppe e a mettere mano ad un cambio di passo della nostra esperienza di governo e di partito, vi è solo un meccanismo che possa misurare il carisma dei suoi dirigenti e dei suoi rappresentanti nelle istituzioni: elezioni dirette, primarie. Vedremo poi quante varianti preveda questo meccanismo, meno semplice e semplicistico di quanto non si pensi, e tuttavia comunque virtuoso. Ma è indubbio che la procedura della cooptazione che ha fin qui prevalentemente ispirato le scelte di partito e la selezione del suo personale politico (talora anche contro l' indicazione di Berlusconi, come in qualche candidatura regionale, guai a dimenticarlo!) ha ora bisogno di quel bagno popolare che riavvicini il partito ai suoi iscritti ed agli elettori. 

PARTITO LEGGERO È un cambiamento che dobbiamo promuovere tutti insieme, in questi giorni di ritrovata unità attorno alla nuova figura del segretario politico, Angelino Alfano. Per rimediare agli errori che il vecchio sistema ha prodotto e che ora paghiamo elettoralmente, e per determinare finalmente il salto di qualità della nostra forma partito che da tempo molti di noi invocano. E che pure ha visto nel dinamismo delle aggregazioni che la affiancavano (i Club, i Circoli, le Fondazioni) momenti e occasioni originali e felici di una storia politica, la nostra, giovane e però radicata. Si tratta di sviluppare e completare la nostra stessa intuizione originaria di partito dalla struttura "leggera" e vicina agli elettori (proprio in risposta al tracollo dei partiti della prima repubblica ed alla professionalizzazione della politica). Una struttura orientata alla ricerca del consenso elettorale e capace quindi di trarre – proprio dagli appuntamenti delle primarie - uno stimolo ulteriore ed una ritrovata partecipazione nei simpatizzanti e negli elettori che sono stati in questi anni sempre meno protagonisti nel partito: nella scelta dei programmi, nelle poche iniziative delle sue strutture.

Bene le primarie, quindi, come strada maestra per rafforzare la democrazia interna del Pdl. Dobbiamo affrontare questa svolta e questa importante innovazione con una disciplina rigorosa che imponga regole chiare e condivise al meccanismo e permetta ai candidati scelti di assolvere alle loro funzioni nel modo più "pulito" e trasparente possibile. Parlare di primarie significa intanto guardare all' esperienza ed ai modelli della democrazia in America. Parlare di un regolamento delle primarie significa introdurre una riflessione all' interno del Pdl per sciogliere nodi e interrogativi che le molte e diverse esperienze americane hanno conosciuto a partire dai primi anni del '900.

Innanzitutto riguardo alla platea dei votanti: lasciare l' accesso libero a tutti (primarie aperte), o circoscrivere la partecipazione ai soli tesserati o a tutti i militanti del partito, comprendendo, quindi, tutti i club, i circoli ed i movimenti ad esso affiliati. Dovremmo anche decidere quale sarà l'età minima di riferimento dei votanti. Quanto all'identificazione ed al diritto di voto: dobbiamo lasciare che gli elettori si presentino semplicemente ai gazebo muniti di documento di riconoscimento e tessera elettorale, o - ispirandoci al sistema americano dove il fattore tempo è essenziale - dobbiamo richiedere all' elettore che si registri qualche mese prima delle primarie per ottenere successivamente il nulla osta al voto? Dobbiamo poi pensare a come entrare in una sempre miglior sintonia con il mondo dei giovani e dei loro lingua, le loro forme di aggregazione: prevedere quindi la possibilità di esprimere un voto online. Ancora si potrebbe prevedere che, nel registro elettorale, venga chiesto all' elettore di specificare se voglia registrarsi come affiliato al partito o come indipendente. E poi: c'è il nodo finanziamento per stabilire l' ammontare della quota simbolica da versare. Infine dobbiamo prevedere un organismo di controllo - interno o esterno al partito - che sovraintenda alle operazioni di voto e successivamente ne certifichi la correttezza, onde evitare di incappare in grottesche beffe, come quella dei quattro milioni di voti non verificati (primarie dell' Unione 2005) e quella ancor più recente delle "percentuali bulgare" alle primarie del Comune di Napoli (con il voto di simpatizzanti cinesi incredibilmente affannati a votare Pd). 

UN MOLTIPLICATORE Le primarie sono, in conclusione, un acceleratore del modello carismatico - che Berlusconi ha modellato con Forza Italia - ed un moltiplicatore anche e soprattutto locale della domanda di partecipazione. Creano una nuova sussidiarietà politica, e la costruzione delle loro regole è un primo impegnativo compito su cui misurarsi, capace di forgiare il partito di domani e di rendere nello stesso tempo un servizio alle istituzioni della politica di un' Italia moderna.


Franco Frattini

lunedì 16 maggio 2011

Laici senza rinunciare alla nostra identità.

Lettera al Corriere di Maurizio Sacconi e Gaetano Quagliariello sulla laicità. (Da l' Occidentale).




Caro direttore,
Tullio Gregory sollecita un dibattito sulla laicità. Accusa la maggioranza di essere prona alle indicazioni della Curia e la sinistra di essere ambigua a causa delle sue divisioni interne. Si può non convenire sulle proposte che il centrodestra ha sostenuto — a partire dall'agenda biopolitica — per ancorare la laicità alla nostra tradizione nazionale, ma non derubricarle acriticamente a “proposte clericali”. A meno di non ritenere il tema della laicità immutabile nelle sue connotazioni ottocentesche.
A ben vedere, già gli ultimi decenni del Novecento hanno evidenziato, con il prepotente ritorno della religione nella sfera pubblica, il fallimento del sogno secolarista di ricondurre la fede nel ghetto della coscienza individuale. A volte quel risveglio ci ha fatto piacere, come nei cantieri di Danzica e nella mobilitazione operaia contro il comunismo; altre volte ci ha inquietato, come a Teheran, dove la rivoluzione si è tramutata in incubo totalitario. Entrambi i casi, però, hanno indicato che la religione non può essere ignorata dalle forze politiche che vogliono orientare il futuro delle società.
Di fronte a questa evidenza vi sono state due reazioni. C'è chi ha laicamente accettato di confrontarsi con la storia e ha riposto al centro il problema della propria identità. La libertà, infatti, è cosa vaga ed effimera senza l'appartenenza. E solo se si accetta di appartenere a una tradizione, a una famiglia, a una comunità si ha la forza per aprirsi senza timore al nuovo: per intraprendere quel dialogo che integra quanti giungono da noi provenienti da altri mondi e portatori di diverse culture; per collocare la modernizzazione tecnica e scientifica in quell'alveo di valori che la esaltano perché la pongono in comunicazione con la ricchezza della persona e delle sue relazioni comunitarie. Se, di contro, si ritiene che la libertà possa fondarsi solo su diritti positivi in grado di generare sempre nuovi diritti, nell'illusione di liberare l'individuo da ogni vincolo, si finisce per cadere in un relativismo per il quale tutto si equivale e anche la politica si riduce a mera gestione del potere.
Da laici, ci siamo faticosamente messi in marcia lungo il primo cammino nel momento in cui abbiamo dovuto affrontare la transizione epocale dai vecchi ai nuovi parametri di uno sviluppo non più solo economico ma più compiutamente umano. E abbiamo compreso, ad esempio, che la funzione pubblica della scuola si realizza più efficacemente attraverso una sana concorrenza tra istituti statali e privati esaltando la libertà di educazione che appartiene certamente ai “maestri” ma anche, e forse prima, ai genitori. Abbiamo compreso che il progresso della tecnica senza un adeguato progresso della conoscenza conduce verso lo scientismo per il quale i risultati raggiunti non possono essere messi in discussione, tradendo così uno dei fondamenti della vera scienza (se così non fosse, Gregory sarebbe più accorto a riferire delle ricerche sulle cellule staminali). Abbiamo compreso, infine, che la sacrosanta libertà di cura non può produrre un determinismo antropologico fondato sull'illusione che l'uomo possa governare la propria vita in ogni istante, anche a costo di degradare il medico a funzionario pubblico e lo Stato a dispensatore di suicidi assistiti a richiesta. Tutto ciò non per ragioni di fede, ma perché convinti che se si nega il fatto che il futuro è sempre aperto, si finisce per ricadere nell'incubo totalitario.
Per noi il riconoscimento laico del valore della vita è il necessario presupposto per quel vitalismo economico e sociale che solo può sottrarre al declino le società di vecchio benessere. Se lo iniziano a comprendere anche in Francia, dove il laicismo fondato sulla rigida separazione tra Stato e Chiesa sta cedendo il passo a una più pragmatica divisione di compiti, perché noi, nell'Italia in cui Croce disse “non possiamo non dirci cristiani”, dovremmo rinnegare proprio oggi le nostre radici popolari?
(Tratto da Corriere della Sera)

lunedì 9 maggio 2011

Le radici del Popolo della Libertà: 18 aprile 1948.

Ora che il fumo della retorica è meno soffocante ricordiamo anche noi, con qualche giorno di ritardo, una data cruciale per l' Italia: il 18 aprile 1948.
In quelle elezioni la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e gli alleati centristi sconfissero duramente il Fronte del Popolo, che vedeva uniti comunisti e socialisti finanziati e diretti dall' Unione Sovietica.

"Nella primavera 1944 entrò in scena anche Palmiro Togliatti, spedito in Italia da Stalin. Fu questo vertice a stabilire quel che doveva accadere dopo la Liberazione: una seconda guerra civile per fare dell’Italia uno stato satellite dell’Unione sovietica. Dove i bambini com’ero io sarebbero passati da balilla neri a balilla rossi".

"  Quel golpe non venne attuato per un ripensamento di Stalin. Ma molti partigiani comunisti continuarono a lavorarci. Ce lo dicono i depositi di armi scovati  dai carabinieri sino al 1948. E l’alto numero di militanti rossi arrestati o costretti a fuggire in Jugoslavia. Molti di loro finirono sotto le unghie del maresciallo Tito, in rotta con Mosca. E sperimentarono la durezza spietata dei gulag jugoslavi, a cominciare dall’inferno dell’Isola Calva".

"  Se ci siamo salvati da un finale autoritario, lo dobbiamo non soltanto alla presenza degli eserciti alleati e ai loro tanti soldati caduti. Esiste anche un politico italiano che è d’obbligo ringraziare: Alcide De Gasperi, il leader democristiano che con la vittoria del 18 aprile 1948 ci garantì un futuro democratico".

Davvero si può affermare, con Pansa, che "La democrazia nasce il 18 aprile del '48 quando De Gasperi sconfisse i comunisti".

Per presentare ai nostri giovani la ferocia del regime sovietico al quale il PCI di Togliatti voleva asservire il nostro paese richiamiamo alla memoria la spaventosa strage di Katyn, compiuta dai sovietici durante la Seconda guerra mondiale.
A questo fine proponiamo un documento straordinario:

che è stato a livello mondiale uno dei massimi studiosi del sistema sovietico.

Le sue parole meritano di essere ascoltate con grande attenzione, dalla prima all' ultima.
L' anticomunismo e l' antitotalitarismo democratici e liberali rappresentano il terreno in cui affonda le proprie radici ideali il Popolo della Libertà. La loro storia dovrebbe essere ben conosciuta dai liberali e dai moderati italiani dei nostri giorni. Un grande passato dal quale bisogna trarre sempre ispirazione.  




lunedì 18 aprile 2011

PoesiaFestival.

Anche  nei comuni dell' Unione Terre di Castelli polemiche sulla riduzione dei finanziamenti alla "cultura". Il coordinatore territoriale del PD Luca Gozzoli attribuisce agli amministratori di Savignano sul Panaro l' intenzione di abbandonare il PoesiaFestival . Questi dichiarano di volere soltanto ridurre il finanziamento.
Ci pare resti fuori la questione fondamentale. Sono scelte di politica culturale ragionevoli, adeguate alle esigenze del territorio?  O piuttosto siamo di fonte al solito tentativo della sinistra di coltivare e soddisfare le proprie clientele?
Poichè gli esempi concreti giovano più di tante parole, rimanendo in zona, da ogni punto di vista, vi mostriamo due video che non hanno davvero bisogno di  commenti.
La stagione 2010/11 del Teatro Comunale di Modena comprendeva la rappresentazione del Giulio Cesare di Handel, con buoni interpreti e la regia di Alessio Pizzech.
L' opera è stata rappresentata una decina di giorni fa. Applausi per gli interpreti. Qualche contestazione per la regia, presentata così da Pizzech stesso:




Apprendiamo che Alessio Pizzech partecipa alla Resistenza. Ma ci restano almeno due assillanti dubbi. La cultura che cita è ellenica o ellenistica? Nasce dall' Impero romano o era già nata da un pezzo? Mah!
Dove vanno i soldi per la cultura? Se proprio si devono fare polemiche, meglio rispondere a questa domanda.

venerdì 1 aprile 2011

Rinnovo delle amministrazioni comunali. Un' occasione per crescere.

E' ormai prossimo il rinnovo di numerose amministrazioni comunali. Cosa dovrebbe caratterizzare il programma dei candidati per il centrodestra? A nostro parere l' attenzione ad alcune questioni fondamentali.
In Italia esistono circa 8 mila comuni. Il 72 per cento di loro ha meno di 5 mila abitanti. Certo i piccoli comuni non hanno gli stessi problemi dei grandi. Ma è possibile individuare alcuni grandi temi capaci di suscitare la preoccupazione di tutti.
Impresa e lavoro, sicurezza e immigrazione, ambiente, sperpero del denaro pubblico, fisco  richiedono sempre più risposte anche in ambito municipale.
Troppe amministrazioni comunali  trascurano lo sviluppo delle attività produttive  nel territorio. Il territorio comunale deve diventare ambiente sempre più favorevole per l' impresa e per il lavoro, da attrarre con servizi migliori a condizioni più vantaggiose.
Sicurezza e immigrazione. L' ordinamento attribuisce ai sindaci importanti funzioni anche in questi settori. La collaborazione con gli organi dello stato deve essere costruttiva e senza riserve. La polizia locale non deve servire a far cassa mediante un' applicazione sbirresca del codice della strada. Deve svolgere i propri compiti con correttezza guardando ai bisogni dei cittadini.
Ambiente. I cittadini sono sempre più sensibili alla sua qualità, alla sua salubrità. Senza provvedimenti tempestivi e saggi si  rischia di far crescere un massimalismo ambientalista chiuso allo sviluppo economico ed al progresso tecnologico. Mentre solo coniugando tradizione e innovazione, tutela ambientale e sviluppo economico potremo fornire valide occasioni ai nostri giovani.
I casi di sperpero del denaro pubblico provocano nei cittadini sfiducia nelle istituzioni rappresentative. Ciò è assai grave perchè tale ostilità può indebolire le fondamenta della democrazia. La buona amministrazione, la lotta allo spreco e alla corruzione, sono da sempre un elemento distintivo della migliore tradizione liberale e conservatrice occidentale. Ricordiamolo sempre a chi chiede il consenso degli elettori.
Le nuove norme sul  federalismo fiscale  e sul fisco municipale chiamano le amministrazioni comunali a partecipare alla costruzione di un sistema fiscale più giusto, dove tutti siano soggetti a imposizione secondo le loro effettive capacità contributive.  Il comune è l' ente territoriale più vicino ai cittadini. A questi deve chiedere le risorse per svolgere i propri compiti. A questi stessi cittadini risponderà del loro impiego.
Solo alla fine di queste considerazioni ci occupiamo dei servizi che rappresentano il tradizionale fiore all' occhiello delle amministrazioni comunali. Servizi scolastici, mense, trasporti, arredo urbano, assistenza sociale, manifestazioni culturali.
E non a caso. Troppo spesso siamo stati abituati  ad isolarli dal contesto generale dell' amministrazione. Essi risultano ormai sostenibili solo nell' ambito di una corretta gestione generale, anche e soprattutto sotto il profilo finanziario. I cittadini devono sapere che per spendere il  loro comune dovrà raccogliere. Per continuare a erogare servizi dovrà gestirli evitando sprechi ed inefficienze. 
L' agenda che abbiamo delineato  rappresenta per gli elettori della nostra regione un chiaro invito a mandare a casa quelle amministrazioni di sinistra che, al potere da tanti decenni, senza alternanza, sopravvivono ormai non per inesistenti meriti amministrativi ma appoggiandosi a vaste e fameliche reti clientelari. Diamoci da fare. I risultati non mancheranno.                                                  

domenica 13 marzo 2011

Storia e idee per giovani (e meno giovani) liberali.

L' ambiente in cui ci muoviamo è il prodotto della storia, quella degli eventi ma anche quella delle idee. Il seguente è un percorso insieme costruttivo e ricostruttivo che proponiamo a chi vuole avvicinarsi con maggior consapevolezza  al movimento politico dei liberali e dei moderati italiani, il Popolo della Libertà.

Il patrimonio ideale e concettuale a cui ci riferiamo è quello del liberalismo democratico, dell' anticomunismo democratico e dell' antitotalitarismo.
I grandi pensatori liberali, Tocqueville, Hayek ed in particolare Karl Popper, ci consentono di comprendere a fondo la libertà e le condizioni che la rendono possibile. Qui veramente teoria e pratica politica si toccano.  Molti grandi statisti occidentali degli ultimi decenni del Novecento hanno ammesso il loro debito intellettuale e politico verso Hayek e Popper, che spesso conoscevano personalmente. Tra essi la signora Thatcher e i cancellieri tedeschi Kohl e Schmidt.
La visione liberale che si ricava da questi grandi intellettuali non è mai dogmatica: nelle loro opere troviamo il favore per la libertà e il riconoscimento della necessità di regole, dall' esistenza delle quali la stessa libertà dipende. In economia, il mercato quando possibile, lo stato quando necessario.
Questo grande pensiero liberale non è mai stato anticristiano. In esso è invece diffusa la consapevolezza dei legami profondi tra cristianesimo e libertà. Il liberalismo di Popper e Hayek ha sempre avversato il razzismo e il nazionalismo. Noi amiamo il nostro paese, la sua cultura e le sue tradizioni. Ma essi non devono rappresentare un' ossessione identitaria che ci limiti ed indebolisca, precludendoci preziose opportunità.
Noi condanniamo ogni forma di razzismo, in particolare l' antisemitismo. Noi intendiamo contrastare con la massima fermezza l' immigrazione clandestina ma lavoriamo per ridurre la povertà ovunque si manifesti.

In una ideale biblioteca liberale dovrebbero quindi trovare posto:

-  KARL POPPER, La società aperta e i suoi nemici


-  KARL POPPER, Miseria dello storicismo


-  KARL POPPER, Tutta la vita è risolvere problemi


-  KARL POPPER, Alla ricerca di un mondo migliore


- KARL POPPER, La lezione di questo secolo


- FRIEDRICH A. von HAYEK, La via della schiavitù


- ALEXIS de TOCQUEVILLE, La democrazia in America.

Sotto il profilo della storia delle idee molto utile

- FRANCOIS FURET, Il passato di un' illusione.



Di POPPER si possono vedere anche queste due interviste, una delle quali realizzata da Marcello Pera, concesse dal filosofo austriaco già in età avanzata:

prima parte su informazione e violenza in TV a danno dei bambini


seconda parte


intervista filosofica realizzata da Pera



Ci pare fondamentale anche una miglior conoscenza della storia dell' Italia unita, con particolare attenzione al periodo che va dalla Seconda guerra mondiale (1939-45) ad oggi. La storia del nostro paese, rispetto a quella delle altre importanti democrazie occidentali, presenta notevoli anomalie.
A partire dalla Resistenza ai nazifascisti, in Italia egemonizzata dalla componente comunista stalinista, mentre le Resistenze del Nord Europa, Francia compresa (De Gaulle), furono in larga misura o esclusivamente nazionali e democratiche.
Dalla nostra anomala Resistenza è derivata l' egemonia sulla sinistra italiana conseguita dai comunisti dipendenti dall' Unione Sovietica. Tale egemonia ha impedito l' alternanza al governo tra sinistra democratica e moderati realizzata nelle altre grandi democrazie.
Addirittura nella nostra Emilia molti enti locali hanno da più di sessanta anni solo amministrazioni di sinistra. Un potere rosso che ormai si regge solo grazie a vaste reti clientelari.
L' egemonia politica della sinistra filosovietica è diventata egemonia culturale. Redazioni dei giornali,  case editrici e  cattedre universitarie sono state preda quasi esclusiva di intellettuali di area comunista o simpatizzanti. Da qui il nostro ritardo culturale e il nostro provincialismo: la "Società aperta" di Popper, scritta durante la Seconda guerra mondiale, è stata diffusa in Italia solo alla metà degli anni Settanta.
All' inizio degli anni Novanta una serie di processi ("Mani Pulite") azzerò la rappresentanza politica dei moderati italiani. Democrazia Cristiana, Partito socialista italiano ed alleati minori scomparvero sostanzialmente dalla scena politica.
Ma nel 1994 l' impegno politico di Silvio Berlusconi consentì ai liberali ed ai moderati italiani di tornare alla vittoria elettorale. Da allora prima Forza Italia poi il Popolo della Libertà hanno lavorato per modernizzare il paese, riformare le istituzioni e dare slancio all' economia, provocando dure resistenze.



Come introduzione alla storia dell' Italia contemporanea si può leggere:

- ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA, Tre giorni nella storia d' Italia

Molto importanti sono anche:


- VICTOR ZASLAVSKY, Lo stalinismo e la sinistra italiana


- VICTOR ZASLAVSKY e ELENA AGA - ROSSI, Togliatti e Stalin





Sulla storia dell' Unione Sovietica:


- VICTOR ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico


- M. GELLER e A. NEKRIC, Storia dell' URSS


L' obiettivo di oggi è rappresentato dalla costruzione di un movimento politico radicato nel territorio e nella società eppure "leggero", aperto alla collaborazione di tutti i simpatizzanti, attivo in internet e nei social network, capace di coniugare tradizione e innovazione, amore per il nostro paese e capacità di fronteggiare le sfide della globalizzazione, cogliendone le opportunità.

sabato 5 marzo 2011

Riforma della giustizia. Guardiamo cosa succede nelle altre democrazie.

Prima un video americano. I funzionari della Pubblica accusa negli Stati Uniti sono semplici avvocati dello stato. Qui uno di loro, in questo caso una signora, cerca di convincere una giuria popolare della colpevolezza di un imputato. Quando sentiamo certe critiche a Berlusconi pensiamo a questo.



Poi un salto su Wikipedia" Pubblico ministero":



Ordinamenti di civil law (tra i quali l' italiano)


"...In certi ordinamenti di civil law, tra i quali l'Italia e la Francia, i funzionari del pubblico ministero sono magistrati ed appartengono, quindi, allo stesso ordine, la magistratura, del quale fanno parte i giudici; essi costituiscono la cosiddetta magistratura requirente in contrapposizione alla magistratura giudicante costituita dai giudici. Il fatto che appartengono allo stesso corpo dei giudici non implica che godano delle stesse garanzie d'indipendenza assicurate a questi ultimi; anzi, il caso dell'Italia, ove giudici e magistrati del pubblico ministero godono di garanzie pressoché equivalenti, è da considerarsi eccezionale. I magistrati del pubblico ministero dipendono dal governo e, in particolare, dal ministro della giustizia, anche se i poteri attribuiti a quest'ultimo variano notevolmente, dalla semplice vigilanza fino alla preminenza gerarchica (come in Francia).
In altri ordinamenti di civil law i funzionari del pubblico ministero non appartengono alla magistratura ma al potere esecutivo e sono inseriti nel ministero della giustizia (come in Germania e in Austria) o costituiscono un apparato organizzativo autonomo che fa capo al procuratore generale. Quest'ultimo in alcuni ordinamenti dipende dal ministro della giustizia (come in Spagna o nei Paesi Bassi) o fa parte del governo (come in Messico o in Polonia)..."


Ordinamenti di common law

"Negli ordinamenti di common law il prosecutor, che svolge le funzioni di pubblico ministero nel processo penale, è tipicamente un avvocato; nell'esercizio di tali funzioni è considerato un professionista legale, soggetto alle relative responsabilità, sebbene dipenda dallo stato o da un ente pubblico territoriale.
In molti ordinamenti di common law (Australia, Canada, Inghilterra e Galles, Irlanda del Nord, Sudafrica ecc.) i prosecutor fanno capo al Director of Public Prosecutions, di nomina governativa; questo, di solito, dipende a sua volta dall'Attorney General, che fa parte del governo, ma alcune costituzioni più recenti (per esempio quella sudafricana) tendono a garantirgli una posizione d'indipendenza. In altri ordinamenti i prosecutor fanno invece capo dall'Attorney General.
Negli Stati Uniti i prosecutor che operano presso le corti federali dipendono dall'Attorney General federale; quelli che operano presso le corti statali fanno invece capo ad organi locali variamente denominati (District attorney, Commonwealth's attorney, State's attorney, County attorney ecc.), soggetti alla vigilanza dell'Attorney General dello Stato, che in alcuni stati sono nominati dall'esecutivo locale (il governatore dello stato, l'organo di governo della contea ecc.) mentre in altri sono eletti dal popolo".








giovedì 3 marzo 2011

Shahbaz Bhatti, cattolico difensore dei deboli e degli emarginati. Intervista a Frattini.

Shahbaz Bhatti, ministro pachistano per le minoranze religiose, cattolico, è stato ucciso dai talebani. Ancora una tragedia colpisce le comunità cristiane dei paesi islamici.  Nonostante le iniziative pressanti del governo italiano a tutela dei cristiani, l' azione dell' Unione Europea resta insufficiente.
Il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenireha intervistato su questo tema il ministro degli esteri Frattini:


Frattini: un martire. L’Europa codarda

«Adesso i codardi di quell’Europa che rifugge dalla condanna del fondamentalismo religioso verseranno le loro lacrime di coccodrillo, alleati di quei codardi che in Pakistan conoscono solo il sangue degli attentati». Non ha usato il linguaggio felpato della diplomazia il ministro degli Esteri, Franco Frattini, nell’esprimere la più ferma condanna per l’uccisione di Shahbaz Bhatti. «Un simbolo della libertà religiosa che ha pagato con la vita», lo definisce il titolare della Farnesina, che conosceva personalmente il collega pachistano.

Signor ministro, a chi si riferisce quando parla di codardi dell’Europa?Penso a coloro sempre molto attenti al "politically correct" fino al punto di non utilizzare mai, in un documento ufficiale, le parole "cristiani perseguitati". La ritengo una codardia politica che oggi, di fronte ad un nuovo martire, è ancor più scandalosa.

Che ricordo ha del ministro Bhatti?Era una persona coraggiosa, che ho conosciuto in un momento particolarmente difficile per la vita del suo Paese. Lo incontrai a Roma lo scorso settembre e poi lo rividi a novembre ad Islamabad, quando eravamo tutti in ansia per la condanna a morte che pende sul capo di Asia Bibi. Nel suo ufficio, piccolo e modesto, mi presentò i leader delle varie minoranze religiose, non solo di quella cristiana cui apparteneva. E mi fece una confidenza che adesso posso svelare.

Di cosa si trattava?Mi disse che i suoi avversari stavano cercando di togliere i fondi al ministero per le Minoranze religiose, un modo per ridurlo all’insignificanza e, quindi, alla chiusura. E mi chiese d’aiutarlo a far conoscere il suo lavoro nella comunità internazionale. Solo così avrebbe potuto salvare il suo ministero.

Nel comunicato emesso dalla Farnesina subito dopo l’uccisione del ministro Bhatti, si chiede alle autorità pachistane di far luce sull’assassinio e di confermare l’impegno a difendere la minoranza cristiana. Finora un impegno abbastanza scarso, non crede?Il fatto che il presidente pachistano Zardari avesse riconfermato Bhatti nel recente rimpasto di governo è stato un segnale importante. Adesso deve compiere un passo in più, andando fino in fondo nel perseguire i responsabili di un delitto così atroce.

La legge sulla blasfemia non è stata cambiata...Lo stesso ministro Bhatti era consapevole che questa legge, nella situazione politica interna, non si può abrogare. Lui proponeva delle modifiche che ne impedissero un’applicazione arbitraria ed assurda. La comunità internazionale deve continuare a fare pressioni perché la legge sulla blasfemia non sia più un’arma di ricatto nei confronti delle minoranze, uno strumento per condannare a morte i cristiani come Asia Bibi. Nel suo caso la condanna è stata congelata, ma noi chiediamo la sua definitiva assoluzione.

L’Unione europea ha finalmente adottato un testo in difesa della libertà religiosa nel mondo, ma nel documento non si fa alcun cenno a misure concrete nei confronti di quei Paesi dove le minoranze religiose sono perseguitate...Non c’è stato quel coraggio politico. Abbiamo però chiesto all’Alto Rappresentante della politica estera della Ue, la signora Ashton, di riferire quanto prima al Consiglio su un piano d’azione a tutela della libertà religiosa. Ed io sarò molto attento alla sua relazione. L’Europa può e deve fare di più. Come abbiamo fatto per Sakineh e per Asia Bibi, io credo che la foto di Shahbaz Bhatti dovrebbe campeggiare sulla facciata di qualche palazzo delle nostre istituzioni, a ricordare una grande battaglia di libertà con i suoi eroi ed i suoi martiri.

Signor ministro, la crisi libica ci trova in prima linea. Non prova un po’ d’imbarazzo nel condannare adesso un personaggio come Gheddafi che è sempre stato considerato un partner privilegiato, accolto con tutti gli onori dal governo italiano?Guardi, è lo stesso imbarazzo che dovrebbero provare tanti leader del mondo. Dai britannici che hanno riconsegnato a Tripoli il terrorista della strage di Lockerbie, al presidente francese che ha ospitato Gheddafi per cinque giorni a Parigi, a tutti coloro che avevano votato a favore della Libia come membro della Commissione Onu per i diritti umani. Quel che conta è che oggi l’Italia, insieme con la stragrande maggioranza degli Stati del mondo, non vuol avere più niente a che fare con Gheddafi.

Che cosa intende fare il nostro governo?Abbiamo deciso due importanti missioni umanitarie. La prima, su richiesta dell’Egitto e della Tunisia, prevede l’aiuto a circa 60mila egiziani che lavoravano in Libia ed ora sono fuggiti in Tunisia. Ci è stato chiesto di assisterli e di fare in modo che possano rientrare in patria sani e salvi. La seconda missione umanitaria si dirigerà in Cirenaica portando cibo e medicinali a una popolazione stremata.

Che cosa pensa di un eventuale intervento militare dall’esterno?È un’ipotesi che ha già sollevato le perplessità della Lega Araba. Escludo categoricamente che l’Italia possa partecipare ad un’azione militare in Libia, per ovvi motivi legati al nostro passato coloniale. Al massimo, potremmo dare la disponibilità logistica delle nostre basi, ma anche in questo caso occorre un chiaro mandato internazionale dell’Onu. E, comunque, qualsiasi tipo d’azione deve tener presente il delicato contesto politico e culturale del mondo arabo.
Luigi Geninazzi   

Per informazioni sull' assassinio di Bhatti  un articolo Asianews



venerdì 25 febbraio 2011

Il ruolo internazionale dell' Italia ed i meriti del governo Berlusconi. Parla l' ex ambasciatore Ronald Spogli.

In questa lettera al Corriere della Sera l' ex ambasciatore americano in Italia Ronald Spogli elogia il governo Berlusconi e parla del ruolo internazionale dell' Italia:

"Nella frenesia di segnar punti a proprio vantaggio, che domina l'infuocata scena politica italiana in questo momento, ciò che è andato perso è il giudizio imparziale sui rapporti tra Italia e Stati Uniti instaurati da Silvio Berlusconi e dai governi da lui guidati".

"Una collaborazione così intensa ha contribuito a innalzare l'Italia a una statura senza precedenti sulla scena politica internazionale. Spesso giudicata in passato un partner di secondo piano, dal 2000 in poi l'Italia ha assunto una posizione di grande rilievo sul palcoscenico mondiale tra i Paesi del G8"

"Sotto il profilo storico, per quanto forti e reciprocamente vantaggiosi siano stati in passato, solo con l'insediamento del governo di Silvio Berlusconi nel 2001-2006 i nostri rapporti politici hanno raggiunto la preminenza di cui godono oggi. L'eccellente rapporto personale tra il presidente Bush e il premier Berlusconi è nato da una visione condivisa delle sfide e delle opportunità a livello globale e del modo migliore per affrontarle. Difatti, l'ascesa dell'Italia ad attore chiave sulla scena internazionale è coincisa con un periodo di intensa collaborazione tra Italia e Stati Uniti che si protrae fino ad oggi ed è stata favorita sul versante italiano in primo luogo dai governi Berlusconi del 2001-2006 e del 2008 fino ai nostri giorni".


"...nessuno ha mai sostenuto con pari lealtà e coerenza le posizioni politiche americane come Silvio Berlusconi".



"Per il suo spirito collaborativo, l'America ha un debito di gratitudine nei confronti del premier Silvio Berlusconi".

Queste espressioni di elogio sono pronunciate da un ex ambasciatore a favore di un governo chiamato a fronteggiare difficili problemi. Anche per questo rappresentano una testimonianza di grande valore.

mercoledì 23 febbraio 2011

La sinistra del "tanto peggio tanto meglio".

La nostra sinistra delle tasse, del debito e dell' immigrazione clandestina fuori controllo accantona per un attimo la strumentalizzazione dell' attività della Magistratura per passare a quella della tragedia libica.
Il governo Berlusconi ha trattato con Gheddafi, nell' esclusivo interesse dell' Italia, per fermare l' immigrazione clandestina  e per procurare alle imprese italiane il lavoro che altrimenti altri paesi come Francia e Germania avrebbero ottenuto. E' ovvio che il regime libico, instaurato quaranta anni fa, sarebbe rimasto in vita esattamente allo stesso modo senza i rapporti con l' Italia.
I fatti a favore del governo Berlusconi sono meno immigrati e più lavoro. Alla nostra sinistra rimangono la propaganda e la strumentalizzazione macchiate di sangue.
Qui l' intervento alla Camera del ministro degli esteri Frattini.

venerdì 18 febbraio 2011

Una giustizia giusta per un paese libero.


Il presidente Berlusconi accelera sulla via delle riforme. Dopo aver messo in cantiere una serie di importanti misure dirette a rendere più dinamica l' economia, il governo Berlusconi, che già aveva in più punti migliorato il processo civile, imposta un' ampia riforma della giustizia italiana.
Il cinema e la televisione ogni giorno ci mostrano come funziona la giustizia penale in tutte le altre democrazie. I giudici e la pubblica accusa sono ben distinti, perchè ciascuno possa meglio svolgere il proprio compito. Questa distinzione è uno dei principali obiettivi delle riforme intraprese.
Che consentiranno inoltre il ritorno all' equilibrio tra poteri ed organi costituzionali che caratterizzava la nostra Costituzione  al momento della sua entrata in vigore, il 1 gennaio 1948. I redattori della Costituzione italiana avevano saggiamente previsto  insieme  l' indipendenza della Magistratura ed efficaci garanzie a tutela del Parlamento e dei parlamentari, in modo da assicurare il rispetto della volontà popolare e l' indipendenza dei rappresentanti degli elettori nelle istituzioni. Una democrazia libera non deve permettere a nessuno di sostituirsi agli elettori nell' indirizzo politico del paese.
I liberali e i moderati italiani, tutti i cittadini che vogliono un paese libero e sicuro, hanno oggi un compito fondamentale e difficile. Dobbiamo comprendere bene cos' è la grande riforma della giustizia appena avviata e quali sono i suoi obiettivi. Perchè solo noi possiamo spiegarla nelle nostre famiglie, al bar, ai compagni di lavoro e di studio, in piazza. Soltanto noi possiamo ogni giorno spezzare l' assedio delle menzogne. Noi abbiamo il solo privilegio di chi sta dalla parte giusta: ci basta dire la verità.


TUTTI IN PIEDI A DIFENDERE LA LIBERTA' !

lunedì 7 febbraio 2011

La riforma dell' articolo 41 della Costituzione italiana.

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha recentemente annunciato un grande programma di riforme  per la crescita economica "il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani".
La proposta di riformare l' art. 41 della Costituzione  ha ricevuto aspre critiche, anche da noti economisti e costituzionalisti. Ma in realtà tale riforma più che utile è necessaria. Qualche cenno alla storia e alla attività anche recente della Corte costituzionale basta a mostrare l' infondatezza di certe critiche, il cui movente appare chiaramente politico.
La Corte è prevista dalla Costituzione repubblicana entrata in vigore il primo gennaio 1948, ma la sua prima udienza pubblica si tenne soltanto il 23 aprile 1956. Il suo compito principale è quello di controllare la conformità alla Costituzione delle leggi ordinarie. Può privare della loro efficacia totalmente o parzialmente le leggi, invitando eventualmente il Parlamento ad operare conseguentemente.
Nei primi decenni della sua attività la Corte Costituzionale ha lavorato soprattutto con l' obiettivo di ottenere l' adeguamento alla nuova Costituzione della legislazione anteriore ad essa. Negli anni più recenti ha esaminato con grande attenzione la nuova produzione legislativa.
E' evidente che modificando l' articolo 41 da un lato si coinvolgerebbero la Corte e l' intera Magistratura nell' opera di rinnovamento in senso liberale della complessa ed imponente legislazione economica italiana. Dall' altro si renderebbero le riforme contenute in leggi ordinarie meglio capaci di superare con successo l' eventuale controllo esercitato dalla Corte stessa. 
Proviamo a immaginare quale rivoluzione provocherebbe la costituzionalizzazione, ad esempio, del principio del controllo successivo da parte delle Pubbliche amministrazioni e quali benefici si avrebbero dall' attiva partecipazione della Corte costituzionale all' adeguamento delle tante norme oggi ispirate al principio contrario.
La riforma costituzionale in senso liberale, qualora fosse realizzata con un vasto consenso, contribuirebbe inoltre  a sottrarre il nuovo indirizzo agli effetti del mutare delle maggioranze parlamentari. 
Il paese ha bisogno delle riforme proposte da Berlusconi. E giudicherà severamente chi rema contro.

martedì 25 gennaio 2011

Il ministro degli esteri Frattini commenta la prolusione del cardinal Bagnasco. Intervista concessa al Corriere della Sera.

http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Interviste/2011/01/20110125_FrattiniBagnasco.htm



"Ci sono dubbi sulla quantità di indagini"
Roma 25 Gennaio 2011
Corriere della Sera
Paola Di Caro


ROMA — Ministro Franco Frattini, da cattolico e uomo di governo, che impressione le hanno fatto le parole del Cardinal Bagnasco?
«E’ stato un discorso positivo, molto alto, del quale si finisce per trascurare la parte più interessante, quella della religiosità del nostro Paese, della persecuzione dei cristiani e del riconoscimento di quanto l'Italia ha fatto per contrastarla».
Ma del passaggio più politico, sullo «sgomento» dell'opinione pubblica, cosa pensa?
«Un cristiano riconosce nella Chiesa il magistero morale, l'autorità che ha il dovere di fare richiami alla moralità, all'etica pubblica, contro il facile arricchimento, il consumismo...».
Bagnasco chiede anche «sobrietà, disciplina e onore» a chi ricopre una carica pubblica...
«Certamente, è naturale che si indichino e correggano comportamenti che dal punto di vista della Chiesa devono essere coerenti con quelli richiesti a un buon cristiano. Ci sono cose che un Vescovo deve dire. Ma non è lecito — come invece è stato fatto con le parole del Cardinal Bertone, perfino con quelle del Santo Padre — strumentalizzare la voce della Chiesa e usarla per propri interessi di parte. Tanto più quando, come nella prolusione, si sollevano dubbi su una quantità di indagini investigative sulla cui qualità, per noi, c'è davvero molto da ridire».
Lei pone l'accento su quella che appare una bacchettata ai pm di Milano, ma l'invito al decoro e alla moralità dei comportamenti che sembra rivolto a Berlusconi non è un monito pesante se rivolto a un leader cattolico?
«Lo sarebbe se fosse vero il teorema che dà per colpevole Berlusconi di colpe che non sono assolutamente provate. Un monito mi colpisce se so di aver agito in maniera immorale. Ma se sono convinto — e Berlusconi lo è — che non ho fatto niente di male, non posso sentirmi oggetto di una censura. E d'altra parte, lo stesso cardinal Bagnasco parla di "squarci — veri o presunti — di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza", non li dà per fatti acquisiti».
Ma lei, al di là dell'esito giudiziario di questa vicenda, da cattolico non prova disagio per quello che emerge dalle intercettazioni?
«Ho parlato con Berlusconi più volte: mi ha assicurato che non ha mai pagato donne, che non è mai stato con una minorenne. Trovo le sue tesi verosimili, gli credo. Poi ho letto anch'io intercettazioni di ragazze che si muovevano con assoluta leggerezza, di familiari che le incitavano a "farsi sotto": se fossero provate, sarebbero parole che indicano un quadro di atteggiamenti a dir poco spregiudicati. Ma a parte il fatto che da qui a parlare di prostituzione ce ne corre, mi chiedo: chi lo dice che il responsabile di tutto questo sia il premier? Trarre da un materiale fatto di parole e di smentite e di contraddizioni una sentenza di colpevolezza è aberrante».
II cardinal Bagnasco esprime però anche una preoccupazione molto politica per un Paese quasi paralizzato dagli scontri tra istituzioni che si fanno «tranelli»: non la preoccupa un'analisi del genere?
«Molto, e vi riconosco la stessa preoccupazione del capo dello Stato, che condivido. Come condivido l'appello lanciato dal ministro Maroni sul Corriere perché ci si fermi tutti e si guardi all'interesse del Paese. Ma purtroppo è già caduto nel vuoto, perché dall'altra parte ci rispondono "prima Berlusconi se ne vada poi si discute"».
Richiesta inaccettabile per il Pdl?
«Inaccettabile perché, se si deve arrivare a un rapporto di rispetto reciproco tra le istituzioni, bisogna che tra queste sia compresa anche la presidenza del Consiglio oltre al Quirinale o alla presidenza della Camera. E’ inaccettabile soprattutto perché Berlusconi è il presidente del Consiglio voluto dagli italiani: Casini dovrebbe sapere che le conventio ad excludendum fanno sempre perdere voti, e il giustizialismo al quale oggi lui si affida contraddice tutto quello in cui ha detto di credere finora».
Non ritiene però che se Berlusconi avesse fatto un passo -- qualche ammissione, qualche confessione di umana fragilità come gli ha suggerito Ferrara — íl clima oggi sarebbe diverso?
«Ma cosa avrebbe dovuto fare Berlusconi, ammettere colpe che non ha? E il luogo dove potersi esprimere quale sarebbe? Parlerà quando avrà davanti a sé un giudice competente».
Intanto la maggioranza rischia sul federalismo: si consumerà su questo terreno la rottura che può portare al voto?
«Il ministro Calderoli sta migliorando il testo sul federalismo e toglierà l'alibi a chi non vuole approvarlo. Ma dubito davvero che, alla fine, l'opposizione si assumerà la responsabilità di bocciare il federalismo regalandoci un formidabile strumento per la campagna elettorale. Tireranno la corda, ma non la romperanno».
E se in commissione Bicamerale mancassero i voti?
«Noi i voti li esigiamo in Parlamento. Non portiamo certo il Paese alle urne per la scelta di una pur rispettabile commissione...».






PdL COMPATTO A DIFESA DELLE ISTITUZIONI E DELLA VERITA'



sabato 22 gennaio 2011

Dai cattolici del PdL una LETTERA APERTA AI CATTOLICI ITALIANI.

Cari amici,

in un momento tanto confuso e delicato per il nostro paese vorremmo evitare che la marea dei pettegolezzi che invade ogni giorno le pagine dei giornali finisca per oscurare il senso del nostro lavoro quotidiano per il bene comune. C’è il rischio di farsi tutti confondere o trascinare dall’onda nera, lasciandosi strumentalizzare da un moralismo interessato e intermittente, che emerge solo quando c’è di mezzo il presidente Berlusconi. Un moralismo che nulla ha a che fare con quella “imitatio Christi” a cui la Chiesa ci invita, e che anzi non si fa scrupoli a brandire per fini politici, e in senso opposto a seconda delle convenienze di parte, l'idea della morale cristiana.

L’enorme scossone mediatico e politico di questi ultimi giorni non si comprende appieno se non come l’ultimo atto di un’offensiva giudiziaria  iniziata con Tangentopoli: il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare.

Diciassette anni fa c’erano gli arresti spettacolari: politici e personaggi pubblici sfilavano in manette sotto  telecamere impietose, e la carcerazione preventiva era lo strumento privilegiato di alcune procure. Ma quante di quelle accuse, urlate da certi magistrati con tanta sicurezza da sembrare indubitabili, si sono rivelate poi vere? Certamente sono stati riconosciuti dei colpevoli, anche se altri pur imputabili delle stesse responsabilità sono stati risparmiati e in alcuni casi nemmeno sfiorati dall'ombra del sospetto. Quel che è più grave, però, in numerose occasioni processi condotti nelle aule dei tribunali sono giunti a ben altre conclusioni rispetto alle accuse iniziali. Le tante assoluzioni che pure ne sono seguite, però, non potranno mai ripagare l’ingiustizia subita da chi vi si è trovato coinvolto, soprattutto da chi non ce l’ha fatta e si è tolto la vita.

E intanto, il paese ha pagato e paga ancora oggi le conseguenze di indagini a senso unico che hanno azzerato il ceto politico moderato, rallentato e inibito la capacità decisionale delle pubbliche amministrazioni, indebolito la grande impresa italiana.

Adesso la carcerazione preventiva è stata sostituita dalla gogna preventiva. Si butta nella pubblica piazza con una violenza inusitata la presunta vita privata delle persone (presunta perché contenuti frammentari di intercettazioni e commenti di persone terze non offrono alcuna garanzia di veridicità), e la si chiama “trasparenza”.

Abbiamo bisogno di giustizia, una giustizia che sia però veramente giusta, che segua  regole certe, assicuri l'inviolabilità dei diritti di tutti i cittadini compreso chi si trova ad essere oggetto di accuse, e offra le garanzie necessarie, a partire dall’imparzialità del giudice e dal rispetto del segreto istruttorio. Una giustizia nella quale i magistrati formulino ipotesi di reato e non si occupino di costruire operazioni finalizzate ad emettere sentenze di ordine morale.

Chiediamo a tutti di aspettare, di sospendere il giudizio, di non farsi trascinare nella facile trappola del processo mediatico e sommario al Presidente del Consiglio, e chiediamo che si rispetti una vera presunzione di innocenza nei suoi confronti, finché il percorso di accertamento dei fatti sarà completato. Ve lo chiediamo non solo perchè è un elementare principio di civiltà giuridica, ma anche perché noi all’immagine abietta del Presidente Berlusconi così come dipinta da tanti giornali non crediamo.

Noi conosciamo un altro Berlusconi, conosciamo il Presidente con cui abbiamo lavorato in questi anni, e che ci ha dato la possibilità di portare avanti battaglie difficili e controcorrente, condividendole con noi.

Siamo certi che il tempo ci darà ragione: ma è di quel tempo che adesso c’è bisogno. Sarebbe assurdo e deleterio per il futuro dell’Italia consentire che, nell’attesa di un esito incerto della vicenda giudiziaria si producesse il danno certo di un cambiamento politico nel segno della conservazione sociale, della recessione economica e del relativismo etico come conseguenza di indagini asimmetriche che colpiscono alcuni risparmiando altri.

Ciò che non intendiamo invece tenere in sospeso è la responsabilità di noi, credenti e non credenti, impegnati convintamente nel Popolo della Libertà. Non abbiamo alcuna intenzione di interrompere il lavoro politico e legislativo che ci vede dediti alla costruzione del  bene comune, dalla difesa della famiglia alla libertà di educazione, dalle leggi in difesa della vita alla attuazione concreta del principio di sussidiarietà.

Aspettiamo che la polvere e il fango si depositino, diamo tempo alla verità e alla giustizia.



Raffaele Calabrò

Roberto Formigoni

Maurizio Gasparri

Maurizio Lupi

Alfredo Mantovano

Mario Mauro

Gaetano Quagliariello

Eugenia Roccella

Maurizio Sacconi
 

martedì 18 gennaio 2011

Frattini, caso Ruby e' una montatura.

Il ministro degli esteri Frattini prende posizione con chiarezza. Già ieri sera, nella trasmissione di Vespa, il ministro Gelmini ha dato una lezione di lealtà e coraggiosa fedeltà alla verità.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2011/01/18/visualizza_new.html_1619860246.html

(ANSA) - ROMA, 18 GEN - Il ministro degli esteri, Franco Frattini, definisce il caso Ruby un'azione giudiziario-mediatica totalmente infondata, e una grande montatura, che pero' non impedira' al governo Berlusconi di andare avanti. Per Frattini, sarebbe un errore ammettere il principio che un magistrato, con un indagine che secondo il ministro si rivelera' infondata, possa determinare il tempo delle elezioni.

venerdì 14 gennaio 2011

Solidarietà al presidente Berlusconi.

Di nuovo accuse inverosimili al presidente Berlusconi. Esprimiamo al presidente tutta la nostra solidarietà, facendo nostre le parole del senatore Gaetano Quagliariello:


"Come volevasi dimostrare. La sentenza di ieri della Corte Costituzionale non va enfatizzata ma è inutile, perché non sposta di una virgola il vero problema dell'Italia: il tentativo di determinare per via giudiziaria le sorti delle maggioranze e dei governi legittimamente scelti dal popolo. L'assenza di norme che tutelino l'esercizio delle funzioni democratiche mina le fondamenta dello Stato e trasforma l'autorità giudiziaria in un potere irresponsabile: questo nuoce al Paese e alla stessa magistratura.
Se serviva una conferma del fatto che dopo la sentenza di ieri il problema è rimasto irrisolto, eccola: non sono passate neanche ventiquattr'ore e la Procura di Milano è tornata alla ribalta, peraltro sulla stessa vicenda che pochi giorni fa, nel silenzio dei mezzi di informazione, aveva visto il Csm avviarsi verso l'archiviazione dell'esposto del pm del tribunale dei minori. L'auspicio è che tutto questo induca a una seria riflessione quanti hanno a cuore la tenuta dell'equilibrio costituzionale, che non a caso prevedeva originariamente contrappesi adeguati alla gravità del pericolo".

http://www.loccidentale.it/articolo/%22il+caso+ruby+conferma+il+tentativo+di+determinare+per+via+giudiziaria+le+sorti+dei+governi%22.00101095