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venerdì 1 luglio 2011

Finanza pubblica: lo scontro sui tagli.

In questo recente articolo su La Stampa  il professor Luca Ricolfi presenta un quadro realistico della finanza pubblica italiana, approfondendo in particolare il tema dei cosiddetti tagli alla spesa.

Scrive Ricolfi, "a proposito di tagli lineari e non":


"...le cose sono più complicate, molto più complicate, di come appaiono. E' ingenuo, per non dire demagogico, suggerire l'idea che oggi - giugno 2011 - la politica abbia di fronte a sé due vere alternative: tagli lineari e tagli selettivi.
L'opzione dei tagli non lineari, o selettivi, pavlovianamente invocata dall'opposizione e dai sindacati appena Tremonti fa «bau», semplicemente non esiste"

" un conto è sapere quanto si dovrebbe tagliare globalmente, un conto è sapere esattamente dove, in che modo, con che tempi. Uno studio di questo tipo richiede un'équipe di specialisti (di cui alcuni provenienti dal mondo della sanità) e almeno due anni di intenso lavoro.
Invece la politica ha sempre fretta, e 2-3 anni di lavoro le sembrano un'eternità. Eppure un paio di anni è il tempo minimo per preparare un dossier operativo serio, capace di individuare chirurgicamente gli sprechi e le soluzioni.
Vale per la sanità, così come per la scuola, l'università, la giustizia, le carceri, i trasporti, la burocrazia.
La sinistra spesso invoca con rimpianto la spending review, ossia il lavoro di revisione della spesa pubblica iniziato dal compianto ministro Padoa-Schioppa con la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (Ctfp, o Commissione Muraro), ma troppo spesso si dimentica che persino quel meritorio lavoro era appena agli inizi, e non aveva ancora prodotto le centinaia di dossier operativi, di manuali di «istruzioni per l'uso», che sarebbero stati necessari se davvero si fosse voluto varare una politica di tagli selettivi.
Ora siamo più indietro di allora (perché questo governo ha soppresso la Commissione Muraro), ma siamo indietro persino se immaginiamo a un futuro governo, che si insedi fra un anno e mezzo al posto di quello attuale.
Se la sinistra intendesse davvero, una volta vinte le elezioni, procedere lei a tagliare gli sprechi in modo selettivo, avrebbe già creato decine e decine di gruppi di lavoro per individuare come, dove e quanto tagliare.
Ma immaginiamo invece che, per miracolo, i dossier siano già sul tavolo del governo. Che il governo sappia con precisione dove colpire. C'è la lista degli enti inutili da sopprimere e quella degli enti da rafforzare. 
C'è la lista dei ministeri da far dimagrire, e quella dei ministeri da rifinanziare. C'è la lista degli atenei da chiudere e quella degli atenei da potenziare. C'è la lista dei tribunali da accorpare.
C'è la lista degli ospedali inefficienti e pericolosi da chiudere. C'è la lista delle agevolazioni ed esenzioni da sopprimere. Ci sono stime accurate dei tassi di spreco di ogni regione, provincia, Comune, e un piano decennale che prevede progressive riduzioni dei trasferimenti per gli enti che dissipano denaro pubblico, ma anche progressivi aumenti delle dotazioni per gli enti virtuosi.
Ebbene, provate a immaginarvelo un governo serio e determinato, crosettianamente pronto a iniziare una politica di tagli selettivi (per inciso: la manovra che ci chiede l'Europa è di 40 miliardi in 3 anni, gli sprechi della pubblica amministrazione superano gli 80 miliardi) Che cosa credete che succederebbe?
Ogni categoria, ente, territorio colpito mobiliterebbe sindacati, associazioni di categoria, tribunali, televisioni, quotidiani per salvare se stesso, naturalmente invocando l'assoluta indispensabilità delle funzioni che esso svolge, naturalmente nell'esclusivo interesse della comunità.
Un coro generale si leverebbe contro il governo, l'indignazione popolare monterebbe, il lavoro dei tecnici sarebbe duramente contestato da altri tecnici, si sentirebbe di nuovo parlare di «macelleria sociale», «attacco al welfare» e alle conquiste dei lavoratori, eccetera eccetera.
E allora, se le cose stanno così, come possiamo stupirci che Tremonti pensi a semplici, modesti, tagli lineari, con l'aggiunta di una spruzzatina di demagogia anti-casta, tipo limatura dei compensi ai politici?
Tremonti, probabilmente, pensa a tagli lineari perché quella è la sua forma mentis. Ma il guaio è che, giunti a questo punto, con un Paese cui è stato raccontato che nella crisi l'Italia tutto sommato se l'è cavata bene, nessun governo sarebbe in grado di imporre le misure che servirebbero, anche se nel frattempo avesse elaborato un piano, fatto di dossier precisi, seri, dettagliati".


Dunque, scrive Ricolfi, "nessun governo sarebbe in grado di imporre le misure che servirebbero, anche se nel frattempo avesse elaborato un piano, fatto di dossier precisi, seri, dettagliati".
Naturalmente questa difficoltà di affrontare i problemi alla radice non è, come sembra sostenere il professor Ricolfi con un cedimento all' antiberlusconismo più fazioso, imputabile all' ottimismo del presidente del consiglio.                                                                                                                                                                                 
Bisogna invece sottolineare che corporazioni, privilegi, rendite di posizione, insufficiente concorrenza fanno ormai parte dell' assetto fondamentale della società italiana, così consolidato e tradizionale da risultare impermeabile e refrattario a ogni tentativo di riforma.
Si deve inoltre considerare che la scuola pubblica, venendo meno ad uno dei suoi principali doveri, non ha di solito formato cittadini consapevoli della struttura essenziale dello stato contemporaneo e della complessità dei problemi che possono affliggerlo.
Proprio sulla cultura diffusa di un paese debilitato e fuorviato da lunghi decenni di battaglie politico-ideologiche senza esclusione di colpi si deve tentare di intervenire, se si vuole uscire dallo stallo.
E' necessario far comprendere la complessità delle questioni e la necessità di decisioni rivolte al futuro ma anche ridare credibilità ad una rappresentanza politica ormai percepita come casta di privilegiati lontana dai problemi della gente.